Quando avevo 7 anni, durante la recita scolastica de “L’oca d’oro”, ho affrontato il mio primo disastro sul palco: l’enorme scatola di caramelle Milk Duds che avevo nascosto sotto la tunica, cadde rovinosamente sul palco in piena vista appena iniziai a dire la mia prima battuta. Ero del tutto demoralizzato, e capii che la mia vita era un disastro totale quando vidi mio padre in quarta fila che piangeva.

Fu solo dopo, quando mi spiegò che stava piangendo dalle risate, e mi ringraziò per la recita scolastica più divertente che avesse mai dovuto subire, che io capii il senso del clown.

Fare clown non c’entra col fare cose buffe e divertenti, e certamente non c’entra con l’essere bravi. Ha a che fare con l’essere semplicemente se stessi, pienamente, alla vista di tutti. E’ sperare che le cose non vadano troppo male, ma non nasconderlo quando succede.

Trent’anni dopo ho incontrato Vivian Gladwell, che mi ha insegnato l’arte del clown. C’era davvero tanto da imparare per un attore abituato a nascondere gli errori sulla scena. Ma capii presto che la lezione principale l’avevo già  imparata all’età di 7 anni: non sei obbligato a nascondere il tuo sconforto quando il mondo non va secondo i tuoi piani – il pubblico capirà, e ti accetterà, pregi e difetti compresi.

Penso che questa sia la lezione che rende la pratica del clown così fondamentale per aiutarci a restare umani: come clown ci possiamo permettere una ingenua fiducia nel fatto che tutto andrà bene, anche se non sappiamo immaginare come. Se penso al mondo di oggi, credo che questa fiducia sia qualcosa di vitale per la nostra salute in quanto esseri umani.

Da 20 anni, insieme con molti collaboratori, ho il privilegio di condurre laboratori clown qui a La Luna nel Pozzo, dove la vita sociale di 15 persone provenienti da diverse culture e percorsi di vita, il lavoro di improvvisazione clown, le danze, i giochi, il divertimento… Tutto è supportato e ampliato da un paesaggio dalla natura idilliaca.

Negli ultimi 10 anni, Pia ed io abbiamo esplorato le sinergie tra il nostro lavoro teatrale con i diversamente-abili e le nostre attività clown [leggi “io e Toni a Vienna”], e ogni volta che è possibile, ci piace includere nei laboratori uno dei nostri clown diversamente-abili, perché arricchisce enormemente l’esperienza.

Durante la mia prima recita, tornando indietro al 1964, ho fatto piangere dalle risate mio padre. Era stato un regalo dato dall’innocenza: a 7 anni non avevo idea di quello che stavo facendo.

Ma quello è stato tanto tempo fa. Adesso Pia ed io gestiamo La Luna nel Pozzo. E le lacrime per le risate – buone, profonde e sane risate – sono il pozzo in cui la nostra luna è così meravigliosamente riflessa.