Ieri, Angel nostra figlia e Michael si sono sposati. Alle spalle, circa un anno di lotta burocratica, per ottenere la cittadinanza italiana, poi mesi di programmazione e riprogrammazione, appuntamenti scritti e cambiati e ricambiati, inviti agli ospiti e cambiamenti d’idee. Settimane di ipotetici menù, di posizioni a tavola, di scaletta camere da letto e aggiusti di gonna, negli ultimi giorni, le donne prese da una tempesta di appuntamenti — mani e pedicure, peli sulle gambe ed ascelle (no!) e capelli testa (si!) e prove trucco — mentre gli uomini stanno seduti con le mani nelle mani, scuotendo la testa: mentre io cercavo il completo che ero convinto di possedere.

Poi le ultime ore e minuti: filmata la vestizione della sposa mentre io decido che ce la faccio con un paio di scarpe comode ma non tanto fotogeniche, capendo il sistema fonico del comune, scoprendo con gioia che il musicista può venire lo stesso, e l’angoscia dei fotografi che stanno aspettando in piazza mentre noi stiamo aspettando loro … ma in sala: tutti gli ospiti in piedi a guardare l’entrata, la sposa completa di genitori in foyer, musicisti pronti, ma ancora niente fotografi…

Ma questa non è la storia di quel matrimonio, che è andato bene alla fine, e tutti d’accordo che dobbiamo tutti sposarci più spesso. Questa invece è la storia di un bocciolo, di un fiore, di una svolta, una trasformazione, se vuoi…

Un mese fa, ho cominciato un compito a casa, per il mio corso in osservazione Goetheano. Osservazione Goetheano è un modo di guardare le piante con attenzione, con amore nel cuore ed una matita in mano, nella speranza di imparare qualcosa dalla natura. In questo caso, dovevo scegliere un bocciolo, e disegnarlo con cura ogni giorno finché non fioriva. Non solo: dovevo fare uno schizzo immaginando di come sarebbe stato l’indomani, lasciando anche traccia dei miei processi interni, mentre lo osservavo. Una canzone, ho imparato da bambino: “I see the sea, and the sea sees me.”

Una specie di preghiera mattutina. Un appuntamento giornaliero. Il processo della fioritura sarebbe durato, m’immaginavo, due settimane circa. Tempo abbondante, prima del matrimonio.
Ho trovato nel giardino sotto la mia camera da letto un cespuglio di nome “Doronicum”, illuminato di boccoli e di fiori, nel profondo inverno. I fiori assomigliano alle margherite — un giallo semplice, naïf, un sole disegnato da un bambino — solo che appaiono non da soli, ma su un cespuglio…un cespuglio di margherite splendente sotto il cielo di dicembre. Ho scelto un bocciolo qualsiasi, un mezzo centimetro di pugno stretto, grigio-verde, senza pretese. Un pezzo di spago intorno, per riconoscerlo fra le centinaia sullo stesso cespuglio, facendone uno schizzo ogni oggi, ed immaginandolo per ogni domani.
E ho notato subito quanto sono impaziente. Il mio “domani schizzo” anticipava inevitabilmente lo sviluppo del bocciolo di almeno 3 giorni. Ben poco avveniva.

Nel frattempo Angel e Michael mentalmente invitavano e de-invitavano e re-invitavano la gente al loro matrimonio, me compreso. La nostra casa era fitta di speranza e di paura. Ma io tenevo sempre il mio bocciolo, che visitavo ogni mattina, un bocciolo che nella mia testa è diventato non più “esso”, ma “lei”. E lei non si stava sviluppando.
Cominciavo a preoccuparmi. Mentre Pia ed Angel facevano aggiustare la gonna — gonna che Angel aveva commissionato e fatto cucire più di un’anno prima, prima di immaginare l’accanirsi della burocrazia italiana — ho cominciato a chiedermi se lei, la selezionata… era in qualche modo difettosa: circondata da boccioli che si aprivano senza fatica, lei rimaneva inerte, impassibile. Ho fantasticato di schiacciarla con cura, per aiutarla ad andare avanti. Consideravo anche di cambiare bocciolo; nessuno
l’avrebbe saputo.

Ma ho tenuto duro: sono rimasto fedele a lei. E dopo due settimane, ho realizzato che mi aveva insegnato il suo ritmo: mi aveva fatto rallentare, ero più calmo. I miei “domani schizzi” sono diventati profetici — ci stavamo conoscendo, con questa creatura senza pretese— qualche volta devi pazientare.
Pia ed io parlavamo, di sera, dicendoci che tutto sarebbe andato bene, che nostra figlia sarebbe riuscita ad affrontare lo stress intenso, le emozioni travolgenti, che lei e Michael avrebbero potuto, in qualche modo, sopravvivere al loro giorno di matrimonio.

Nel frattempo il bocciolo s’era gonfiato, turgido: potevo immaginare un sussurro di oro al punto nascente. Ho capito un “perché”, del suo nome. Doronicum: “d’oro”; “adorazione” mi passava per la testa — questa pianta semplice, naïf, è un’essere prezioso.
I miei schizzi son diventati adorazioni: testimoni amorevoli di un miracolo ordinario.

E ieri, è avvenuto un miracolo. Ieri, mentre mia figlia scambiava i voti con l’uomo che la ama più di qualsiasi cosa sulla terra, nello sguardo amorevole della comunità, ieri è sbocciato un fiore ordinario e miracoloso: si è aperta al cielo, all’aria, al mondo, dicendo “io sono”.

16 dicembre 2022